martedì 20 dicembre 2011

J Biol Regul Homeost Agents. 2011 Oct-Dec;25(4):543-51.

Protective effect of an oral natural phytonutrient in recurrent vulvovaginal candidiasis: a 12-month study.

Source

Microbiology Department, Chaudhary Charan Singh University, Meerut, India.

Abstract

The aim of the present study is to assess the clinical efficacy of a phytocompound with antimicotic properties (K-712, with the following 100 mg composition: 10 mg of oleoresin from Pseudowintera colorata at 30 percent concentration in Polygodial together with trace amounts of Olea europea) in recurrent vulvo-vaginal candidiasis (RVVC) as compared to an azole drug during a 12-month period: 6 months of treatment followed by 6 months of observation. This prospective randomized study involved 82 women (19-61 years) with complaints of abnormal vaginal discharge and with a history of at least four proven episodes of RVVC in the previous 12 months. Patients were divided into two groups of treatment of 41 patients each and were given: A) Itraconazole 200 mg orally daily for 4 days, then 200 mg once weekly for 6 months or B) 1 tablet twice a day of a K-712 for 4 weeks and then for the first 2 weeks of each month for a total of 6 months. Both groups were then followed-up for further 6 months. Each treatment schedule was well tolerated with only 4 patients in the azole group complaining of transient mild symptoms (nausea, abdominal discomfort, unpleasant taste). Itraconazole reached an earlier symptomatic relief during the first two weeks of observation as compared with K-712 (p<0.05) but both treatments enabled a comparable benefit during the entire treatment study period, afterwards with comparable symptom/sign score (itraconazole vs K-712: 9 vs 11). At 6-month observation, mycological cure was reached by 83 percent in the itraconazole group and in 78 percent of the K-712-treated patients. During the further 6-month observation period without treatment, the itraconazole group showed significantly more relapses (65.7 vs 34.2 in K-712, p<0.05) and at the end of the whole 12-month study period the mycological cure was significantly higher in the K-712-treated patients (65.8 vs 34.3 percent, p<0.05). There was a non- significant trend increase of less drug-susceptible species in the itraconazole group. From these preliminary data it would appear that a natural antifungal phytocompound proves to be as good as itraconazole in the maintenance treatment of RVVC. Moreover, this approach seems to maintain a higher mycological success rate afterwards by reducing the number of relapses and probably of the growth of azole-resistant species.

venerdì 9 dicembre 2011

My Plate: nuove conoscenze dalle nuove Linee Guida Americane ?

Col termine My Plate ci si riferisce alle linee guida nutrizionali americane prodotte dal Dipartimento dell’ Agricoltura degli U.S.A. per il 2011  - 2013. C’è qualcosa di nuovo rispetto alle indicazioni precedenti ?
Una cosa sicuramente si, se è vero che un cerchio è una figura geometrica differente rispetto ad un triangolo (o meglio a una “piramide”): nella sostanza poco. Ma andiamo per gradi.
Il piatto che compone un pasto principale, fortemente rappresentativo di questo metodo, viene suddiviso in quattro parti. Metà dovrà essere riempito da frutta e soprattutto da verdura (l’importanza di frutta e verdura era già stato evidenziato nelle ultime linee guida italiane ed europee ed è comunque noto).
L’altra metà dovrebbe essere costituita da cereali, preferibilmente integrali, e in parte minore da proteine. Per quanto riguarda la colazione, al di fuori del piatto, sono rappresentati latte e derivati.
Inoltre, le linee guida americane specificano di mangiare porzioni non troppo ricche di “calorie”, ponendo molto l’accento sulla quantità di alimenti e sulla misura del fabbisogno calorico attraverso età, sesso, attività fisica, etc.
Da questo punto di vista non vengono considerate le modificazioni ormonali individuali nella determinazione del peso corporeo mentre  dal mio punto di vista queste non sono affatto trascurabili: non a caso la scienza, ormai da tempo, riconosce come l’ “organo  adiposo” sia in grado di secernere importanti ormoni e citochine e come molti ormoni condizionano l’accumulo di tessuto adiposo bianco e la composizione corporea (insulina, glucagone, GH, testosterone, DHEA per fare solo qualche esempio).
Senza parlare dell’importanza della QUALITÀ degli alimenti che introduciamo ogni giorno e che possono condizionare fortemente la nostra salute e il nostro invecchiamento.
Le linee guida sottolineano alcuni alimenti che dovrebbero essere aumentati e altri che dovrebbero essere ridotti.
Quelli da aumentare sono la frutta e la verdura e i cereali integrali, da preferire a quelli raffinati.
Quelli da ridurre quelli ricchi di sodio e le bevande zuccherine.
Per quanto riguarda il primo aspetto l’importanza del sale nel favorire l’ipertensione arteriosa è riconosciuto da molto tempo, anche in Italia. Peraltro, io sottolineerei che il cloruro di sodio non è l’unico sale che introduciamo con l’alimentazione. Vi siete mai chiesti quanti Sali vengono introdotti quando si mangia un gustoso minestrone composto da più verdure, ognuna delle quali è ricca di differenti Sali, che possono precipitare determinando le stesse conseguenze, anche se in realtà il risultato finale è peggiore perché i Sali sono tanti e i loro effetti si sommano.
Nello stesso capitolo del My Plate è indicata l’importanza di leggere le etichette per verificare i contenuto di sodio degli alimenti, ma io allargherei naturalmente l’osservazione anche agli altri nutrienti, alla zona di origine del prodotto e alle eventuali sostanze aggiunte.
Nelle linee guida USA viene consigliato di usare acqua al posto di bevande e bibite zuccherine.
Questo è sicuramente condivisibile ed anche una considerazione di buon senso : molti delle “calorie vuote” che vengono introdotte derivano proprio da qui. Ma per la corretta idratazione sottolineerei l’importanza dell’ “acqua di vegetazione”, quella filtrata da frutta e verdura, utilissima per favorire le reazioni chimiche del nostro organismo e del fegato in particolare e che non sovraccarica , in qualche caso inutilmente l’ apparato cardiovascolare e il rene.
La rappresentazione della colazione con latte e derivati mi sembra non dare enfasi sufficiente all’importanza dellacolazione stessa (non si mangia nulla ?) e non mi pare essere raccomandabile, o almeno non a tutti.
Se infatti non è così irrilevante la quota di persone intolleranti al lattosio bisognerebbe chiedersi se il consumo quotidiano di latte e derivati suggerito in modo generalizzato non abbia effetti negativi sul colesterolo LDL, sulla calcolosi renale, la stipsi e l’ipertensione arteriosa (i formaggi stagionati sono molto ricchi di Sali).
E siamo proprio sicuri che l’indicazione verso latte più povero di grassi possibile (come avviene nel My Plate) è veramente una raccomandazione lungimirante e  incida in modo determinante sulla prevenzione dell’ obesità ? Non è forse questo tipo di latte che per ovvi motivi non può non essere trattato ulteriormente dall’industria ? I grassi contenuti nel latte non potrebbero contribuire a bilanciare il carico glicemico del pasto ?
A proposito di grassi devo dire che la prima osservazione che mi è venuta in mente osservando l’immagine del My Plate è stata proprio questa: dove sono i grassi ? In realtà nelle Linee Guida è specificato come, secondo la loro opinione, i grassi non sarebbero una categoria alimentare. In realtà sono concetti acquisiti della biochimica nutrizionale quello per cui esistono acidi grassi così necessari al nostro organismo da essere definiti essenziali, senza parlare degli acidi grassi omega tre,le cui azioni benefiche per l’organismo sono note e sempre più valorizzate.
E da ultimo, ma come si usa dire non meno importante, non bisogna ma dimenticare che le Linee Guida Nutrizionali Americane, pur essendo redatte da parte di un Dipartimento della  elevatissima formazione scientifica sono state pensate per una popolazione con stile di vita, abitudini, tradizioni culinarie e patrimonio alimentare molto diverso dal nostro e pertanto, in linea generale, non possono essere meramente importate ma possono semmai essere degli spunti da adattare.

Deficit della disfunzione erettile: qualche nuova idea


DEFICIT DELLA DISFUNZIONE ERETTILE: QUALCHE NUOVA IDEA
Oltre al testosterone molti altri ormoni e neuro-trasmettitori sono coinvolti nell’atto sessuale: alfa-MSH, ACTH, vasopressina, ossitocina, prolattina, diidro-testosterone, DHEA, GH e inoltre, adrenalina, noradrenalina, serotonina e dopamina.
A proposito di ormoni bisogna poi sapere che lo stress cronico favorisce la conversione dei precursori degli ormoni steroidei, colesterolo e pregnenolone, in cortisolo anziché in testosterone.
E’ come se il flusso di un fiume venisse deviato in caso di necessità (condizione di stress) in luoghi in cui la presenza di acqua (nel nostro caso cortisolo) è più vitale a discapito di quelle zone che normalmente vengono bagnate dallo stesso fiume ma che sostengono attività meno vitali per l’ organismo (attività riproduttiva e funzione erettile attraverso il testosterone).
Quindi l’ efficienza sessuale del maschio dipende dall’ equilibrio e dall’ efficienza di tutti queste componenti, ma non solo.
Al di là da dell’ aspetto ormonale, infatti, l’  efficienza ovvero la disfunzione erettile sono condizionate anche da altri fattori e fra questi lo stress ossidativo gioco un ruolo tutt’altro che secondario.
Se infatti il ruolo del selenio e della vitamina E è quello che viene conosciuto dai più in realtà è la condizione di stress ossidativo, spesso specchio di uno stile di vita non corretto, a favorire la disfunzione erettile, come evidenziato nell’ articolo di Zhang (Int J Androl. 2010 Jun 24. Dietary antioxidants improve arteriogenic erectile dysfunction.Zhang Q, Radisavljevic ZM, Siroky MB, Azadzoi KM.Department of Urology, VA Boston Healthcare System and Boston University School of Medicine, Boston, MA, USA.).
Quindi, magari dopo un adeguato inquadramento genomico e alla riduzione per quanto possibile delle cause note di stress ossidativo, è utile instaurare una stile alimentare con una adeguata quantità di nutrienti ad azione antiossidante ovvero una integrazione con nutraceutico ad hoc quando vi sia l’ indicazione.
Un altro fattore che influenza la funzione erettile da tenere in considerazione è rappresentato dal nitrile ossido (NO). 
Con l’ invecchiamento si verifica una progressiva perdita della funzione endoteliale legata in gran parte alla biodisponibilità e/o bioattività di ossido nitrico e questo è ritenuto responsabile dell’ insorgenza o dell’ aggravamento di più patologie legate all’ età.
In particolare, per quanto riguarda le azioni sugli gli organi sessuali maschili, l’ ossido nitrico aumenta il flusso di sangue nei genitali, aumenta la fermezza e durata dell’ erezione e il numero degli spermatozoi.
Inoltre, come evidenziato da Lasker (A Review of the Pathophysiology and Novel Treatments for Erectile Dysfunction.Lasker GF, Maley JH, Kadowitz PJ.Adv Pharmacol Sci. 2010) il trattamento con inibitori del PDE 5 (Cialis, Levitra, ecc.) nei soggetti con valori di nitrile ossido basso è inefficace.
Le strategia nutraceutica utilizzata per migliorare e stabilizzare i livelli di nitrile ossido sono rappresentati dalla integrazione con un suo importante precursore, l’ L-Arginina, come sempre i dati di letteratura confermano (Urol Int. 1999;63(4):220-3. Effectiveness of oral L-arginine in first-line treatment of erectile dysfunction in a controlled crossover study.Klotz T, Mathers MJ, Braun M, Bloch W, Engelmann U.Department of Urology, University of Cologne).
Un intervento complessivo può prevedere anche l’utilizzo sinergico di queste risorse terapeutiche (nutraceutico che stimoli l’innalzamento del testosterone libero e degli ormoni coinvolti nello stress, dei livelli di antiossidanti e di nitrile ossido) oltre naturalmente ad un intervento mirato sullo stile di vita della persona o ad ulteriori indicazioni qualora lo specialista lo ritenga opportuno.
Articolo del Dott.Claudio Tomella Pubblicato sul sito nutraceutico.it

Andropausa e Disfunzione Erettile: si può fare qualche cosa ?


Anche la vita dell’ uomo, come quella della donna viene scandita da fasi e quella che viene conosciuta come andropausa è una delle più importanti dal punto di vista clinico. In realtà, non solo sotto il profilo semantico ma anche da quello sostanziale, il termine di andropausa non è  propriamente corretto.
Nel caso del maschio non si verifica infatti una sospensione completa e drammatica della produzione  ormonale, come nella femmina, né esiste un “gradino” (come quello che caratterizza il climaterio femminile), perché il deficit androgenico è lento, progressivo e soprattutto molto variabile da soggetto a soggetto.
Del resto, la comunità scientifica al momento non è ancora all’ unisono nel definire questa condizione clinica e sulle varie riviste scientifiche fioccano svariati acronimi.
Fra questi, sembra essere particolarmente azzeccato quello di P.A.D.A.M (Partial Androgen Deficienty of Aging Male), ad indicare una deficienza parziale non solo di testosterone di origine gonadica ma anche di androgeni di origine surrenalica, con ripercussioni sul piano clinico.
Se la teoria dell’ endocrino-senescenza  che identifica nel calo con l’età della maggior parte degli ormoni come la causa di molte patologie age-dependent è una delle più accreditate, la diminuzione dei livelli di testosterone libero nel maschio è una di quelle ad insorgenza più precoce e che provoca conseguenze sia fisiche e che psicologiche rilevanti.
Si rammenta come livelli di testosterone ottimali siano essenziali non solo per mantenere una soddisfacente funzione erettile ma anche per la funzionalità dell’apparato cardiovascolare, del sistema immunitario, del sistema nervoso e contribuiscono a regolare la sensibilità insulinica, il metabolismo degli acidi grassi, a favorire il trofismo osseo, muscolare, cutaneo e a molto altro ancora.
In natura esistono sostanze con azioni favorenti il mantenimento di adeguati livelli di testosterone e fra queste il Tribulus terrestris è probabilmente quella più studiata e quella per cui esistono dati, sia aneddotici che esperienziali, decisamente incoraggianti anche nell’ uomo.
E’ utile poi contrastare la conversione del testosterone in estrogeni (aromatizzazione) che di per sé tende ad aumentare con l’ età: è osservazione comune che col tempo gli uomini tendono a “femminilizzarsi” nei caratteri somatici (ginecomastia, tratti del viso, ecc.) e  in quelli psichici (perdita di autostima e di fermezza, ansia immotivata, ecc.).
Accanto alla aumentata conversione in estrogeni descritta, con l’ aging si verifica poi un aumento dell’ SHBG (sex hormon binding glubulin) che determina una diminuzione della quota libera ed utilizzabile di testosterone e questo si somma alla situazione precedente nel determinare nel maschio che invecchia una svantaggiosa predominanza relativa degli estrogeni sul testosterone.
Anche in questo caso l’ intervento sullo stile di vita gioca un ruolo chiave dal momento che il processo di aromatizzazione prima descritto è favorito dall’ uso/abuso di alcol, dal consumo di bevande contenenti caffeina e dall’ accumulo di grasso viscerale (addominale), tutti fattori questi che devono quindi essere contenuti adeguatamente.
Detto questo è utile sottolineare come per affrontare questa delicata fase della vita maschile sia necessario inserire il nutraceutico in un contesto di vita “sano” che contempli una nutrizione ricca in sostanze antiossidanti e favorente la sintesi di androgeni, che preveda l’ abolizione di “eccessi” e la gestione dello stress, lo svolgimento di una specifica attività fisica e l’ esecuzione di una vita sessuale regolare.
Articolo del Dott. Claudio Tomella Pubblicato sul sito nutraceutico.it


Non chiamatelo solo GRASSO


Non è solo un tessuto che serve per riempire gli spazi tra organi vicini: il grasso bruno e quello bianco formano insieme un vero e proprio organo che svolge funzioni molto importanti per il nostro organismo.
Chiunque abbia studiato anatomia o istologia all’università ha letto sui libri di testo che il grasso corporeo nei mammiferi, e quindi anche nell’uomo, può essere di due tipi: bianco e bruno. Le cellule che compongono i due tipi di grasso sono dette, di conseguenza, adipociti bianchi o bruni e sono molto diverse tra loro sia per funzione sia per mofologia. E secondo i testi di medicina i due tipi di grasso sono localizzati in aree diverse del corpo e si sviluppano prevalentemente in epoche della vita differenti.

Bisogna però andare oltre. “Recenti studi condotti anche dal Professor Saverio Cinti dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona e grande esperto del settore” spiega Claudio Tomella, specialista in scienza dell’alimentazione e nutrizionista, oltre che esperto di medicina anti-aging “hanno dimostrato che queste distinzioni così rigide non sono del tutto corrette e che quello che oggi viene definito molto semplicisticamente come tessuto adiposo è in realtà un organo a tutti gli effetti, composto da tipi cellulari diversi che interagiscono tra di loro in modo non ancora del tutto chiaro, ma a dir poco sorprendente”. Non confondiamo i ruoli.

Prima di parlare di organo adiposo, è necessario conoscere un po’ più a fondo le cellule che lo compongono, ovvero gli adipociti bianchi e bruni.

Dal punto di vista morfologico, cioè dell’aspetto e della forma, la cellula adiposa bianca si presenta con forma sferica ed è occupata per il 90% del suo volume da un grosso vacuolo, una sorta di bolla, contenente grassi che spinge verso la periferie dalla cellula tutte le altre componenti cellulari.

Dal punto di vista funzionale, invece, fino a qualche anno fa gli adipociti bianchi erano considerati dei depositi nei quali accumulare molecole altamente energetiche che si possono rivelare utili nei momenti di digiuno.
Oggi si sa che non è tutto qui: la cellula adiposa bianca è anche la sede dove vengono prodotti numerosi ormoni e molecole importanti per il buon funzionamento del sistema immunitario, del metabolismo di zuccheri e grassi e per i meccanismi di angiogenesi.
Due delle sostanze prodotte dal grasso bianco e più interessanti dal punto di vista clinico sono la leptina e l’adiponectina. La prima condiziona la quantità di cibo che assumiamo: chi è privo di leptina o del suo recettore (e quindi sviluppa leptino-resistenza) mangia più del dovuto e arriva spesso a forme di obesità grave. L’adiponectina invece è fondamentale per il metabolismo degli zuccheri e per mantenere liberi e funzionali i nostri vasi.

“Da magazzino di deposito merce situato in uno sperduto paesino” chiarisce Claudio Tomella “il tessuto adiposo bianco è diventato come un’azienda di import-export con contatti in tutto il mondo e che interagisce con altre aziende produttrici di diversi e importanti prodotti finali”.

Per quanto riguarda invece gli adipociti bruni, le conoscenze sono molto più limitate, ma sufficienti per comprendere che si tratta di cellule completamente diverse dagli adipociti bianchi.

Dal punto di vista morfologico siamo di fronte a cellule che contengono tanti piccoli vacuoli di grassi e un numero elevato di mitocondri, le centrali energetiche della cellula, organelli indispensabili per fornire energia. Dal punto di vista funzionale appare chiaro che le cellule brune sono coinvolte nei processi che garantiscono l’omeostasi termica dell’organismo: in pratica sono in grado di bruciare i loro depositi di grassi per produrre calore in caso di necessità e secondo un processo regolato dal sistema nervoso.

Diversi ma uniti: l’organo adiposo
“Il primo concetto introdotto dal professor Cinti” spiega Tomella “è quello dell’esistenza di un organo adiposo”. Tessuto adiposo bianco e bruno coesistono e sono asportabili chirurgicamente in modo molto preciso: l’analisi al microscopio di questi depositi asportati ha permesso di capire che si tratta di tessuti misti composti cioè da cellule bianche e cellule brune anche nei casi in cui il tessuto sembra puro e omogeneo.

Come spiega Cinti in un lavoro pubblicato dalla Società Italiana dell’Obesità, quello che cambia è la percentuale dei due tessuti presenti in quello che ormai è possibile chiamare organo adiposo: in alcuni piccoli mammiferi la percentuale di grasso bruno nell’organo supera il 50%, mentre nell’uomo adulto occidentale rappresenta al massimo l’1% del grasso viscerale ed è quasi assente in quello sottocutaneo.

Stabilito dunque che adipociti bianchi e bruni coesistono, resta da capire come i due tessuti adiposi interagiscono in un unico organo che, per definizione, prevede la presenza di almeno 2 tessuti che cooperino funzionalmente tra di loro.

Secondo Tomella, che cita il lavoro di Cinti, l’interazione tra i due tessuti assume l’aspetto della transdifferenziazione. In pratica, le cellule brune sono in grado di trasformarsi in cellule bianche se esposte a particolari stimoli così come le cellule bianche riescono a trasformarsi in brune.
Esponendo un piccolo mammifero al freddo (6 °C) per alcuni giorni, infatti, le percentuali di grasso bianco e bruno nell’organo adiposo dell’animale si modificano e il grasso bruno prende il sopravvento, ma il numero di cellule che compone l’organo rimane costante e non si verificano fenomeni di morte del grasso bianco o di crescita accelerata di quello bruno.

Gli esperimenti effettuati dal gruppo di Cinti su modelli sperimentali sembrano dunque confermare una possibilità a dir poco rivoluzionaria: una cellula adulta e già differenziata può trasformarsi in un’altra cellula differenziata con funzione diversa.
E questo potrebbe essere il meccanismo che regola il tessuto mammario in gravidanza: la mammella è costituita per il 90% da grasso e per la restante parte da dotti epiteliali. Durante la gravidanza si sviluppa la componente ghiandolare e la parte grassa diminuisce, ma tutto torna come prima alla fine dell’allattamento. In questo caso, secondo Cinti, gli adipociti si trasformano in cellule epiteliali per poi tornare adipociti.
“Per confermare questi dati servono ulteriori studi clinici, condotti anche sull’uomo, ma quella che viene definita transdifferenziazione fisiologica reversibile resta senza dubbio un’ipotesi affascinante” afferma Tomella.

“E dal punto di vista clinico questa enorme plasticità dell’organo adiposo è molto rilevante” conclude Claudio Tomella “il grasso bruno si associa infatti a resistenza all’obesità e alle sue complicazioni compreso il diabete e oggi esistono farmaci in grado di stimolare questo tipo di grasso a scapito di quello bianco”. Al momento tali farmaci funzionano nei piccoli mammiferi, ma in un futuro non molto lontano la possibilità potrebbe essere estesa anche all’uomo.

Articolo del Dr. Claudio Tomella apparso sul sito venerepersempre.com
Pubblicato da Dr. Claudio Tomella il 12/28/2009 11:00:00 AM

giovedì 8 dicembre 2011

Eur J Clin Nutr. 1997 Jun;51(6):362-5.

Association of alcohol consumption with HDL subpopulations defined by apolipoprotein A-I and apolipoprotein A-II content.

Source

Institute of Internal Medicine and Medical Physiopathology IRCCS Maggiore Hospital, University of Milan, Italy.

Abstract

OBJECTIVE:

To investigate the relationship between alcohol intake and serum level of high-density lipoprotein (HDL) subfractions defined on the basis of their apolipoprotein A-I and A-II content (LpA-I and LpA-I: A-II).

DESIGN:

Observational study.

SETTING:

Institute of Internal Medicine and Medical Physiopathology, IRCCS Maggiore Hospital, University of Milan.

SUBJECTS:

One hundred healthy males with a mean age of 42 +/- 11.1 y, selected among blood donors.

RESULTS:

Both LpA-I and LpA-I:A-II were significantly higher in men drinking more than 30 g a day of alcohol than in non-drinkers (LpA-I: difference between means 6.5 mg/dL, 95% C.I. 1.14-11.9; LpA-I:A-II difference between means 11.5 mg/dL, 95% C.I. 0.52-22.5). The association of alcohol consumption with LpA-I and LpA-I:A-II levels was independent from age, body mass index, physical activity, serum triglycerides and diet composition.

CONCLUSIONS:

Alcohol consumption is associated with an increase of serum levels of both LpA-I and LpA-I:A-II particles and this may, at least in part, explain the reduced cardiovascular morbidity observed in subjects drinking moderate amounts of alcoholic beverages.

SPONSORSHIP:

Supported by grants from Ricerca Corrente Ospedale Maggiore di Milano IRCCS, Milan Italy.